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“Lui” non mi rende felice

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Inizierò questo articolo parlando proprio di un”lui”, immaginario, certo, ma concretamente realistico, su cui molte donne potranno proiettare le proprie convinzioni e comprendere forse un po’ di più, la complessa natura dei rapporti di coppia.

Parlerò di un “lui” perché sento molte donne ancora oggi, attendere una felicità di coppia e una realizzazione personale, che passi attraverso un “lui” che le possa completare, un lui unico responsabile di felicità e appagamento. La vita si conduce e porta avanti con successo in tutti i campi, da quello professionale alle amicizie, coltivando interessi che appassionano, ma un’insoddisfazione di fondo permane sempre, aleggiante, portando a mettere in dubbio ogni piccola felicità e rendendo precarie condizioni di vita che dal di fuori appaiono invece stabili e serene.

Di che si tratta? Una sensazione di insoddisfazione sì, ma che passa attraverso delle vie ben definite, che passa dal valutare e soppesare quanto lui si occupa di noi, quanto si prende cura di noi, quanto “spende” nel nostro rapporto, sia emotivamente che economicamente.

Sì perché il “vile denaro” si pone come un mezzo, anzi forse è il mezzo privilegiato, di scambi d’affetto e d’amore; per alcuni ciò che viene speso sta ad indicare meramente e in modo diretto ed inequivocabile, quanto la persona investe in quel rapporto, quanto tiene all’altro, quanto è disposto a “perdere” in un’ottica sempre dimostrativa, esemplificativa, di quello che è il sentimento sottostante.

Per cui più spenderà, più regali costosi farà, più vorrà dire che tiene alla persona, ma la questione sottostante da analizzare è la distorta percezione del concetto “dare-avere”, una percezione per cui ci si sente costantemente in credito verso il mondo, in attesa di qualcosa dagli altri, qualcosa che forse non siamo disposti per primi a dare. Che sia tempo, affetto, attenzioni e slanci d’amore o… soldi.

Il problema di fondo è un’avarizia nei rapporti che va curata, immediatamente, poiché non porterà alcun beneficio alla coppia, ma neanche in  altri tipi di relazioni. Un’avarizia che porta con sé il suo alter-ego, l’avidità, l’insoddisfazione del non avere mai abbastanza, per la quale ogni cosa che viene fatta…poteva essere fatta meglio, o diversamente, portando a rinnovare con effetto domino questo senso di insoddisfazione perenne.

Inoltre chi presenta tale percezione distorta, tale difesa, che innalza come un vero e proprio muro tra lui e gli altri, tenderà oltre ad essere sempre insoddisfatto, a fare spesso i calcoli su quanto l’altro ha investito, quanto ha messo in quel rapporto, quanto ci tiene, cosa poteva fare diversamente...rovinando ogni piccolo piacere e ogni scambio vero e profondo. Ma soprattutto non stando realmente in quel presente, in quel rapporto.

abbraccio

Perché tendiamo a demandare ad altri il completamento della nostra felicità? Perché siamo sempre in attesa di qualcosa che porterà a compimento i nostri sforzi, perché ci sentiamo soli e trascurati, quando, a ben vedere, l’altro c’è, è presente a suo modo, con la sua vita, i suoi impegni e il sano desiderio di scambiare momenti di felicità con noi, senza occuparsi di altro?

Nel nostro inconscio culturale passa purtroppo abbondantemente il concetto, spesso ignorato, ma ancora molto presente nonostante anni di battaglie tra i sessi e di conquiste femministe, che l’uomo è portatore di un compimento “ideale” nel processo di crescita e affermazione di ogni donna, trovare un marito, un compagno che ci appoggi, anche economicamente, che “porti i pantaloni” a casa sbrigando tutte quelle impellenze che invece ora toccano a noi…è ancora un concetto ben saldo che ci scorre sotto pelle.

Si può vivere da sole, essere dinamiche, intraprendenti ed autonome, raccontarsi di non aver bisogno di nessuno, ma la cultura che ci portiamo in eredità, in un immaginario bagaglio sulle spalle, è quella di dover trovare poi, alla fine dei conti, chi si prenderà cura di noi. Un marito, una persona con cui dividere gioie e dolori ma che ci sollevi dal nostro definirci “incomplete” in questa fetta di mondo in cui viviamo.

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Ma per chi non sa gustare le sfumature dei rapporti, per chi non sa “dare” veramente senza aspettarsi qualcosa in cambio, ogni situazione avrà dei limiti, non appagherà mai del tutto, e dovrà permettersi di “rilassare” e lasciar fluire quegli aspetti così “vigili” che vanno ad indagare con occhio attento e severo ciò che l’altro fa, come si comporterà, dall’alto di un immaginario piedistallo. Se non vorrà rischiare di starci (da solo) tutta la vita, aspettando chissà quali gratificazioni dall’esterno.

 

Dottoressa Giromella

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