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Gli Hikikomori e la difficoltà ad entrare in relazione con gli altri

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Tale inquietante fenomeno, studiato inizialmente in Giappone poiché nato e osservato lì, si sta diffondendo anche nei paesi occidentali e sta dilagando sempre più, arrivando fin qui da noi. Un fenomeno ancora sconosciuto, spesso confuso con la depressione, la fobia sociale, con la dipendenza da internet, che però pare siano solo le conseguenze di tale sindrome, piuttosto che la causa.

La definiamo come una situazione di progressivo isolamento sociale, in cui i ragazzi, dall’adolescenza in poi, tendono a chiudersi sempre di più, rifiutandosi di uscire dalla loro stessa stanza per settimane, mesi, addirittura anni. In Giappone arrivano a farsi portare il cibo su un vassoio, depositato fuori dalla porta della loro camera. Qui ancora non siamo arrivati a tanto ma tale sindrome sta iniziando a presentarsi e a preoccupare genitori impotenti e allarmati. Alcuni sono reclusi da più di trent’anni, nelle proprie abitazioni.

Internet, cellulare, tablet e wii per giocare sono spesso immediatamente demonizzati e incolpati come causa primaria del progressivo ritiro sociale e del progressivo abbandono di studi, interessi, scuola e amici. Ma è realmente così?

Eccessiva sensibilità? Troppe pressioni familiari o scolastiche?

Sfiducia nel funzionamento della società? Paura, depressione?

Tali, spesso, sono considerate le cause alla base di tale atteggiamento, o insieme di comportamenti, da sempre tipicamente legati al Giappone e al mondo degli adolescenti giapponesi, forse spinti in modo eccessivo sin dall’infanzia a primeggiare, perfezionarsi e competere.

Secondo alcuni studi l’utilizzo di internet, delle chat e dei giochi sarebbero in realtà la conseguenza di un atteggiamento e di una condizione di ritiro sociale che già è progressivamente in avanzamento creando malessere nell’adolescente, un disagio esistenziale che porta all’isolamento come sistema di tutela, protezione e fuga, ma che finisce con il consolidarsi e prendere piede lasciando il ragazzo sempre più chiuso e inibito verso ogni contatto reale con gli altri.

Un contatto che spaventa, che lascia timorosi e inibiti a compiere un primo passo. Sicuramente la tecnologia non aiuta, l’essere sempre connessi con l’esterno, essendo l’unica forma di contatto con il mondo, porta a restare svegli magari fino all’alba, per poi dormire tutto il giorno fino al primo pomeriggio, lasciando davvero poche ore utili di veglia in cui è paradossalmente troppo tardi per intraprendere qualsiasi attività utile o socialmente attiva.

Ma la connessione con l’Internet Addiction e l’utilizzo della rete è solo una piccola parte del fenomeno osservato.

Chiaramente non vanno trascurati fattori quali: stare troppe ore al pc in una navigazione casuale, giocare ai videogames o guardare la tv facendo le ore piccole, una vita vuota dal punto di vista delle relazioni amicali e sedentaria con poche ore di sonno, poiché tutti questi fattori fanno aumentare il rischio di sviluppare tale sindrome poiché è elevato e concreto anche il livello di alienazione e di perdita di contatti umani.

Sono spesso ragazzi che hanno vissuto con molta pressione il mondo scolastico, le valutazioni personali, la disciplina, ragazzi che hanno subito atti di bullismo ma troppo fragili per reagire, consolidando il pensiero interno che il mondo è un posto ostile e minaccioso e in cui non sono riusciti a porsi nella condizione proattiva di confutare tale ipotesi. La fuga e l’isolamento sono stati posti come barriera, come strategia difensiva nei confronti di un mondo verso il quale non si nutre più alcuna fiducia.

Di fronte a situazioni così sconfortanti, che spesso si tende ad osservare sotto il microscopio come “problema” da analizzare e sviscerare, mi sono chiesta: dal momento che in Giappone il fenomeno è così diffuso, esistono dei luoghi, nello stesso Giappone, in cui non si presentano casi di questa sindrome, o in cui dei ragazzi ne sono usciti con successo? Cosa può servire per farli tornare a socializzare, ad uscire di casa, nel mondo attivo?

Cioè, oltre a voler comprendere cosa è andato storto, vediamo anche i modelli riusciti, i modelli vincenti. Poiché questi esistono, così come esistono comportamenti ed atteggiamenti basici da tenere per crescere figli sani.

Secondo alcune ricerche, infatti, esistono tre tipologie di ragazzi che si isolano socialmente: gli ultradipendenti, totalmente assorbiti dal loro nucleo familiare protettivo e “comodo” da non sentire alcuna spinta a cercare altrove realizzazione e autonomia. Sentono forte il supporto dei genitori, quasi eccessivo, ma non si fidano degli altri “estranei” e non hanno imparato a trovare risorse esterne a loro; poi abbiamo coloro che non hanno imparato le regole del sano vivere con gli altri, sono disfunzionali al limite della patologia, spesso vittime di bullismo, non sanno relazionarsi con i coetanei. Forse non hanno imparato da alcun modello valido, non hanno ricevuto il giusto supporto nel sentirsi sicuri di sé e spalleggiati. Infine i controdipendenti, ragazzi caricati di eccessive aspettative da parte dei genitori che sentono forte la spinta (narcisistica) a primeggiare e competere per dare il meglio di sé. In ogni campo.  Dedicano molto tempo allo studio, anche al di fuori della scuola, ma accumulano un livello di stress al pari di un adulto che vive un ambiente lavorativo fortemente competitivo. Accettano malissimo le delusioni e le perdite.

In base a tali studi potremmo o forse dovremmo ipotizzare delle alternative, un modello sano in cui il tempo dedicato allo studio sia limitato all’orario scolastico o a quello per i compiti assegnati a casa, in cui altre attività formative o sportive siano presenti sì, ma scelte e gradite al bambino o al ragazzo, possibilmente di squadra, che il ragazzo sia seguito e amato, e che lo possa sentire e percepire in maniera totale e mai ambigua, indipendentemente dai voti conseguiti e dal rendimento.

Infondergli sicurezza in ciò che fa significa anche lasciargli compiere le sue esperienze sbagliando, punendo con regole ferme se trasgredisce alcuni divieti prestabiliti, ma lasciargli fare i suoi errori, ascoltandolo nelle sue richieste e filtrando ciò che arriva dal mondo esterno, parlandoci, sempre.

Parlandoci, sì, ma ascoltando attentamente, possiamo intuire le sue paure reali, l’idea che si sta formando sulle aspettative che si sente addosso ed eventualmente ridimensionarle, i valori che sta assimilando tramite il nostro esempio o tramite ciò che apprende per altre vie più indirette (Internet, TV, ecc.) e poter filtrare, raccontare, spiegare.

Il mondo esterno non deve essere sentito come estraneo, nemico ed ostile, il ragazzo andrà eventualmente accompagnato, gradualmente, in un percorso lento, in cui possa sentirsi apprezzato e cercato per qualche sua qualità. La relazione sarà sempre quella che trascina maggiormente, che ci fa uscire allo scoperto, che ci fa mostrare il nostro lato migliore. Tutti abbiamo bisogno di essere apprezzati.

Osserviamo i ragazzi con maggiore attenzione, riprendiamo in mano i nostri ruoli di adulti, o se serve con l’aiuto di un esperto che guardi con occhio distaccato, professionale e attento e possa intervenire su ciò che avviene all’interno dei delicati equilibri familiari. Altrimenti rischiamo di dover agire quando le situazioni si sono ormai cronicizzate e cristallizzate.

Dottoressa Federica Giromella

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